Katz’s Delicatessen: New York, il pastrami e la storia


21 Settembre 2020

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“Mamma! Guarda che fila!”

Ricky mi indicava una fiumana di persone che assediava tutto l’isolato. Coppie, ragazzotti con le cuffie, signori anziani in comitiva.

“Ohu mamma io sto morendo di fame, piuttosto me ne vado al McDonald!”

Edoardo era sconfortato da tutta quella gente. Una massa accalcata, che voleva entrare attraverso una piccola porticina a vetri, sormontata da un tendone sbiadito. C’era molto sole. Tutta quella gente. A ripensarci oggi, che dobbiamo mantenere il metro di distanza e indossare mascherina, e l’amuchina è per noi quello che era la pistola per i cowboy nel vecchio West, è tutto così assurdo. Ma c’era un sacco di gente, da Katz’s.

“Ragà, io qua ci voglio mangiare. Se non ve la fidate andatevene al Taco Bell o da un’altra parte, io e la mamma ci stiamo qua” disse Lorenzo.

Era il novembre 2017. Eravamo a New York City. In quel momento, per la precisione, eravamo in fila per entrare nel Jewish Deli (rosticceria ebraica per chi non mastica l’inglese) più famoso della città, forse dello stato, forse del continente nordamericano. Katz’s Delicatessen, since 1888. E’ incastonato all’angolo tra la Houston e Ludlow street, pieno Lower East Side. A scrivere queste parole, salgono in mente le strade del Village, le case dove vissero artisti e cantanti, scrittori e creativi: il caffè dove si incontravano gli scrittori della beat generation come Burroughs, Kerouac e Ginsberg; il sottoscala dove suonava la chitarra Bob Dylan. Ogni passo che muovi in quelle strade ti pervade di creatività. Ti senti ispirato solo ad esser lì.

A New York ci andammo perché dovevo correre la mia prima maratona. Già. La maratona più iconica, quella che tutti i podisti sognano di fare. Ma ve ne parlerò in un altro post.

Da Katz’s ci stavamo perché fanno il pastrami più buono che abbia mai mangiato.

Pastrami: /pəˈstrɑːmi/, una delle poche parole inglesi che nemmeno gli italiani sbagliano a pronunciare. Punta di petto di manzo che affronta una luuuunga marinatura in salamoia, lunga quanto una maratona, addizionata con salnitro per impedire la formazione di botulino, con spezie variegate, a cui segue una cottura a bassa temperatura in appositi forni bbq.

Ma Katz’s non è soltanto il pastrami. Katz’s è la quintessenza di New York: un luogo che resiste al tempo e alla globalizzazione, aperto 24 ore su 24, che mantiene la sua attitudine di negozio di quartiere. Non hanno altre sedi, devi andare tu da loro. E’ un posto vero. Il servizio sbrigativo, la fila interminabile, gli addetti al taglio del pastrami che lavoravano veloci come cavallette, i neon e le sedie di legno, i tavoli un po’ unti e per questo più vissuti. E poi, qui ci hanno girato una delle scene più iconiche delle commedie americane: in Harry ti presento Sally, la bionda Meg Ryan finge un orgasmo intenso e potente in pubblico, seduta in mezzo alla sala. E’ uno dei miei film preferiti!

Dopo una fila estenuante riuscimmo a prendere il numero di prenotazione del turno alla cassa e attendemmo che ci servissero.

“Four pastrami, some veggie soups and a bunch of pickled cucumbers, please!”

Il signore dietro al bancone iniziò a scaloppare le fette di pastrami. Per due sottili strati pane in cassetta, c’era di contrasto un’immensa montagna di pastrami. Era completamente rosa, avvolto da una crosta di spezie e affumicature che ci faceva sbavare ancor prima di mangiarlo.

“Italiani?”

“Sì!”

“Yo soy argentino, pero mi abuelo… el nonno, fue de Udine!”

Ci spiegò che loro tenevano i vari brisket in dei contenitori a vapore, che mantenevano la carne umida e tiepida.

“Che spettacolo…”

Vassoio, piatti, acqua, coca cola: il giorno dopo dovevo correre la maratona e mi stavo sparando niente niente due etti, due etti e mezzo di pastrami.

Ci sedemmo e finalmente assaporammo il tanto atteso pastrami.

Era un burro.

Era tenero, morbido. Il grasso non era invasivo. D’altronde, la punta di petto è un taglio molto magro, per questo la si fa marinare così tanto, anche per due settimane. La senape di Katz’s, poi, era favolosa. Dava un’ulteriore variabile di sapore.

“Beh mamma! Ne è valsa la pena di tutta ‘sta fila!”

I miei figli erano davanti a me, mangiavano di gusto. Intorno a noi dieci lingue diverse, sguaiati accenti del Tennessee e del Texas, una coppietta di pensionati newyorkesi che gustavano il loro pastrami intingendo ogni lembo di carne in una spropositata dose di senape.

Domani avrei corso la mia prima maratona. A New York. I miei figli mi avrebbero atteso oltre il traguardo, per abbracciarmi.

Ero la donna più fortunata del mondo.