Categorie: Blog, Festival Tags: asiaargento, cinema, claudiocaligari, croisette, festivaldicannes, festivaldivenezia, ivoserio, lodoredellanotte, lynch, marcogiallini, melaniegriffith, truffaut, valeriomastrandrea, villagefilm, woodyallen
Ho sempre provato un brivido di piacere nel momento in cui si spengono le luci in sala e finalmente partono i primi fotogrammi di un film. Il cuore mi batte più forte del dovuto.
È come se fossi innamorata. Anzi, nessun come se: io sono innamorata del cinema. La settima arte. Non è che semplicemente nel tempo libero io me ne stia sul divano satolla a scarrellare titoli Netflix, no no. Io amo i film. Amo la magia dell’illusione, della creazione di mondi immaginari che durano soltanto centoventi minuti, a volte di più, altre di meno – come nel caso dei pezzi epocali del mio amor Woody Allen – ma che sempre, sempre, sempre, ti lasciano dentro qualcosa che ti fa crescere e sognare.
Hanta, il personaggio di “Una Solitudine Troppo Rumorosa” dello scrittore Hrabal, così si esprime sulla lettura dei libri, e credo di poter applicare la stessa ortodossia purista anche alla cinematografia: “con un libro in mano io sono in un mondo diverso da quello dove appunto stavo, perché io quando incomincio a leggere sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo colpevolmente ammettere di essere stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore stesso della verità”.
Ecco, io mi sento così nel momento in cui partono le prime inquadrature e ascolto le note della colonna sonora, i dialoghi, i primi piani, i piani sequenza infiniti. Sarà che “la realtà è scadente!” come Sorrentino fa dire al buon Fabietto nel suo È stata la mano di Dio. Sarà, non so.
So solo che i personaggi mi si innestano sotto la pelle. Le sceneggiature mi entrano nel cranio. I dialoghi li imparo a memoria. Riesco a fomentarmi così tanto con un protagonista da vivere per qualche istrionico momento come lui, come lei. Arrivo a capire come ragionano i registi che mi fanno impazzire, tipo Truffaut, Lynch e Tarantino. Ne capisco gli svolgimenti, i messaggi simbolici, i rimandi che vogliono farci arrivare.
Non so dirvi come nacque in me questa passione. Dopo il liceo scientifico volevo andare al DAMS oppure alla scuola di cinematografia di Roma. Per imparare il mestiere e lavorare nel cinema. Avrei portato persino i caffè alla troupe pur di respirare quell’aria magica, non mi interessava di nient’altro. Volevo capire. Tutto. Come si scrivesse una sceneggiatura, le scritturazioni, i ruoli nell’ombra come quello degli assistenti di regia o degli allestitori delle scenografie, i momenti di nervo degli attori. Tutto! Volevo tutto!
Purtroppo, non era nelle corde della mia famiglia supportarmi in questa scelta. Dovetti recedere dai miei sogni e desideri per iniziare un percorso nell’architettura, iscrivendomi alla facoltà di Firenze, e questo lo sapete già.
Pur tuttavia, gli amori veri non finiscono mai. Le passioni che bruciano come il sole stanno sempre là, magari rannicchiate in angoli scuri della nostra testa, ma vivono e ardono. E durante gli anni universitari, provai comunque a gravitare nel mondo del cinema. Mettevo i soldi da parte per andare a Venezia alla Biennale del Cinema lavorando come cameriera. Facevo parte di un collettivo artistico e con mio cugino Cesare andavamo due, tre volte a settimana nei cinema d’essai. Collaboravo con piccole case di produzione che mi spedivano per vitto e alloggio ai festival di cinema per scoprire le perle di nicchia in anteprima, di modo da acquisire i diritti per il mercato italiano. Mi facevo sette, otto ore al giorno chiusa al buio in sala, magari a Berlino, magari a Cannes, magari in qualche posto sperduto in Andalusia. Era bellissimo, credetemi. Mi sentivo nel mio posto.
A Venezia, poi, era proprio un livello superiore. Lì alla fine gli attori erano comunque rilassati perché ok i premi e la tensione ma Venezia è struggente e poetica e ti trattano come un semidio se sei del cinema, quindi che problemi potresti mai avere? Entravo e uscivo dalle sale, e tra una festa e l’altra riuscii a conoscere la troupe del ruvido regista Claudio Caligari, e passai le serate con lui, Marco Giallini e altri fantastici artisti e artiste del suo entourage. Era spettacolare come situazione. Stavo a un passo da Kenneth Branagh e Melanie Griffith. Mi ricordo che, pur lavorando, non riuscivo a trattenere la voglia di interagire con attori e registi nel mood della fan impazzita. Avrei voluto chiedere autografi e scattare foto, ma Marco Giallini m’ammoniva: “Vale, noi siamo come loro, non possiamo metterci a fare ‘ste scenate sennò che cazz de figura ce famo?!”.
Addirittura mi è capitato di recitare in qualche film. Nel Ciclone di Pieraccioni come comparsa, e ho avuto un piccolo ruolo nel film “Il Miracolo” di Edoardo Winspeare, il quale girò anche alcune scene nella vecchia casa di Corso Umberto dove vivevo con Lorenzo, quando era piccolo e andava alle elementari. Recitavo la parte di Laura, la zia di Tonio, il bambino che nella trama del film avrebbe avuto un potere taumaturgico. Altra esperienza incredibile, quella di stare sul set. Io che me la recitavo con Anna Ferruzzo, e mi sentivo sì inibita ma anche motivata dal poter condividere con lei qualche secondo di pellicola.
Le follie metafisiche di Lynch. Lo splatter pulp comico di Tarantino. La poesia di Truffaut. L’ironia di Woody Allen. Il sapore di strada di Spike Lee. Se dovessi scrivervi qui tutti i film che amo, che mi hanno segnata, penso che potrei sfondare le diecimila parole e battere un romanzo breve.
Ma non lo farò. Perché certi amori non finiscono mai, è vero, ma è pur vero che vanno custoditi gelosamente e tutelati dagli urti della vita. Non lavorerò mai direttamente nel mondo del cinema, ok. Forse non mi capiterà più di recitare o annusare l’odore di un set.
Eppure vivrà sempre dentro me quella scintilla, quel blitz che mi fa sorridere in automatismo appena ci ripenso. Il cinema è il mio grande amore, l’amore più grande. Incompiuto forse, ma pur sempre immenso. E certe cose non puoi cancellarle, mai. Nemmeno il tempo può farlo.
Per questo ho creato Cinegusto quando ero agli inizi della carriera da Chef. Cena tematica abbinata al film che proponevamo al Bellarmino. Ne uscirono delle serate dalla fascinazione totale. Ricordo la gente estasiata per quello che mangiavano e per come rievocavamo la magia con la combinazione food& cinema. Ne parlerò meglio in un altro articolo, di Cinegusto.
A volte si può trovare il giusto equilibrio nelle cose. Anzi. Dobbiamo trovarlo. Perché ci fa stare bene.